«La mangiano gli operai, la vogliamo anche noi minatori».
Era il marzo del 1947 e i minatori del Valdarno – tutti ex contadini – avevano presentato la piattaforma per il rinnovo del contratto. Chiedevano un aumento del salario, copertoni per le biciclette, abiti adatti a chi scende a 150 metri sottoterra per estrarre la lignite e 50 grammi di mortadella. Nelle osterie avevano sentito il profumo della mortadella, sconosciuta nelle campagne della finocchiona, mangiata dagli operai assieme al pane fresco. E così il mezzo etto dell’ insaccato bolognese entrò in quello che allora si chiamava «memoriale». Dieci giorni di sciopero, poi la Mineraria disse sì a tutte le richieste e no alla mortadella. Si riunì la commissione interna. I vecchi operai dissero che poteva andare bene, che era meglio non pretendere di più. Ma i giovani si impuntarono. Per altri dieci giorni le miniere furono bloccate, fino a quando – come scrisse Romano Bilenchi su Il nuovo Corriere di Firenze – «le prime mortadelle non scesero con le chiatte (i carrelli per la lignite, ndr) nelle gallerie». La solidarietà ai minatori toscani – ricorda ancora il professor Sacchetti – arrivò dalle società di mutuo soccorso dell’Emilia. Da quel momento le due Regioni confinanti giurarono solidarietà fraterna, sapendo che avrebbero potuto contare l’una sull’altra in qualsiasi momento.
Fonte: La Repubblica, 31.10.04